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Dicembre, tempo di passaggi e trasformazioni

A cura di Dott.ssa Martina Pinaroli, Pedagogista, Educatrice e Formatrice

Dicembre arriva ogni anno portando con sé tante emozioni, un tempo che non è mai soltanto una fine né semplicemente un inizio, ma piuttosto uno spazio intermedio, sospeso, carico di significati simbolici ed educativi.
È un tempo di soglia, un confine sottile tra ciò che è stato e ciò che ancora non sappiamo, tra il bisogno di chiudere e il desiderio di aprirsi a ciò che verrà.

Bambine e bambini lo sentono, spesso senza avere parole per dirlo, attraverso cambiamenti di umore, maggiore sensibilità, domande improvvise o silenzi più lunghi; gli adulti lo attraversano cercando di organizzare, pianificare, riempire. Torniamo sempre a chiederci quando sia un'esigenza lavorativa (che innegabilmente sappiamo essere presente) e dove invece risuoni quella paura di "vuoto" a cui noi adulti per primi siamo poco abituati. 

Come se il "fermarsi" non fosse contemplato. Eppure, proprio questo tempo altro può diventare un’occasione educativa preziosa, se scegliamo di riconoscerlo per ciò che è: un passaggio. E i passaggi non chiedono di essere superati velocemente, in mezzo al "pieno", al contrario, necessitano di spazio, del vuoto. 

Nella cultura della velocità e della prestazione, siamo spesso portati a vivere i passaggi come ostacoli da oltrepassare rapidamente, come momenti scomodi da risolvere il prima possibile.
In educazione, però, sappiamo che le transizioni sono luoghi delicati, dove le persone – bambini, adolescenti, adulti – non hanno bisogno di essere spinte in avanti, ma sostenute mentre cercano un nuovo equilibrio. 

Mi piace molto la metafora della rincorsa, spesso evocata in ambito educativo: proprio nell’istante in cui ci sembra di tornare indietro, in realtà ci stiamo preparando allo slancio più potente. E mentre corriamo, guardandoci alle spalle, comprendiamo che rallentare (e persino indietreggiare) erano passaggi indispensabili per potenziare la carica e l’energia necessarie a ripartire. Più forti di prima.

Dicembre, con le sue chiusure e giorni di festa può riattivare stanchezze, fragilità, domande irrisolte, ma anche desideri silenziosi che hanno atteso tutto l’anno per emergere. Educare in questo tempo significa riconoscere che non tutto deve essere chiarito, definito o sistemato, e che sostare nell’incertezza può essere un atto profondamente educativo.

Riconoscere i piccoli passi: una pedagogia della crescita invisibile

Dentro questo tempo di soglia, diventa fondamentale fermarsi a guardare ciò che è accaduto, non solo ciò che manca o ciò che non è andato come previsto.
Ogni anno è attraversato da micro-passaggi, cambiamenti impercettibili, conquiste silenziose che spesso non fanno rumore, ma che contribuiscono in modo significativo alla nostra crescita. Talvolta non le vediamo perchè passano insservate a fianco dei "grandi successi" apparenti degli altri o ai nostri "obiettivi non raggiunti" (grande paradosso: spesso ci è più facile vedere ciò che non ha funzionato rispetto a ciò che siamo riusciti/e a fare!). 

Riconoscere un piccolo passo fatto da una bambina, un tentativo di un bambino, una competenza emotiva appena accennata, una maggiore capacità di stare in relazione, significa restituire valore a processi che non si misurano con risultati immediati, ma che arricchiscono profondamente e sono propedeutici a tutto il resto. 
Allo stesso modo, come adulti/e, educatori ed educatrici, possiamo concederci di riconoscere quanto siamo cresciuti, non solo in termini di obiettivi raggiunti, ma di esperienza, consapevolezza, sguardi più ampi, domande nuove che hanno trasformato il nostro modo di essere in relazione.

È una crescita che non sempre si vede, ma che si sente, e che merita di essere riconosciuta. 

Il cambiamento che non si vede (ma arde dentro)

C’è un tipo di cambiamento che non fa rumore e non chiede di essere annunciato, ma che scalda, che arde lentamente e con costanza, come un fuoco che nasce da dentro e che spesso prende forme inaspettate.

È il cambiamento che l’adulto sceglie quando decide di spostare il proprio baricentro, lasciando che lo sguardo si allontani da ciò che è visibile, riconosciuto, misurabile, per avvicinarsi a ciò che è interno, autentico, profondamente legato al proprio benessere, e in questo passaggio silenzioso prende forma un coraggio particolare, meno celebrato e più scomodo, che non si manifesta in gesti eclatanti ma nella capacità di restare in ascolto di ciò che non funziona più, anche quando da fuori tutto sembra andare bene.

È il coraggio di chi sente che qualcosa, pur avendo dato molto, non nutre più allo stesso modo e che, per continuare a stare bene, è necessario accettare di lasciare andare, permettendo a quel fuoco interno di farsi spazio, non per distruggere per rabbia o ribellione, ma per necessità, perché alcune trasformazioni non avvengono senza attraversare la combustione di ciò che non ci rappresenta più.

Da fuori, molto spesso, non si vede nulla, e la fatica resta invisibile insieme ai dubbi che scavano, alle paure che rallentano, alle domande che non trovano subito una forma definita.  Eppure è proprio lì che il fuoco lavora, riducendo in cenere ruoli che abbiamo abitato a lungo ma che ora ci stanno stretti, perché cambiare vita e obiettivi lavorativi per prendersi cura di sé richiede una forza enorme, soprattutto quando questo significa rinunciare a qualcosa di riconoscibile per fare spazio a qualcosa di autentico.

È un atto profondamente pedagogico, perché implica educarsi a un’idea diversa di valore, in cui il benessere non è un premio da meritare alla fine di un percorso, ma una direzione da scegliere ogni giorno, nei modi in cui abitiamo il mondo, rendendo possibile anche per altri immaginare strade differenti.

Alla fine dell'anno, facciamo i conti anche con questo: a riconoscere e legittimare il coraggio dei cambiamenti invisibili, ad onorare quei fuochi interiori che non chiedono applausi ma spazio, perché ciò che oggi brucia dentro, se accolto e custodito, domani potrà diventare luce, una luce più nostra.

Accompagnare i passaggi: il valore educativo del tempo lento

Come possiamo sviluppare le competenze per affrontare i grandi passaggi nella vita nei bambini e nelle bambine? Si inizia dai piccoli cambiamenti di vita quotidiana, che osserviamo tutti i giorni. Poter sostenere ed accompagnare, soprattutto nei periodi intensi, richiede una postura educativa consapevole, capace di riconoscere che non sempre aggiungere attività, stimoli o proposte significa prendersi cura. In un tempo costellato di feste, eventi e aspettative, educatrici, educatori e insegnanti possono scegliere di tutelare spazi di “non fare”, offrendo momenti in cui nulla è richiesto e tutto può trovare un proprio ritmo.

Il tempo lento, apparentemente vuoto, diventa così uno spazio educativo fondamentale, che permette a bambine e bambini di riorganizzare le emozioni, integrare le esperienze vissute e ritrovare una continuità interna, senza la pressione di dover partecipare, produrre o dimostrare. In questi momenti, stare senza fare non è assenza di intenzionalità educativa, ma presenza attenta che legittima il bisogno di fermarsi. Oltre al fatto che potenzia la fantasia nel gioco, la creatività nelle relazioni e che se tanto di questo tempo è passato in natura il suo valore è anche maggiore!

Nei passaggi, inoltre, è frequente che emergano fragilità, bisogni di rassicurazione o movimenti che possono sembrare arretramenti. Uno sguardo pedagogico sa accoglierli come parte del processo di crescita, offrendo contenimento e sicurezza senza giudizio, e riconoscendo al tempo stesso i piccoli passi, spesso silenziosi, che indicano un arricchimento profondo. Valorizzare questi segnali e restituirli ai bambini attraverso parole e gesti aiuta a costruire fiducia nelle proprie risorse, anche quando il cambiamento non è lineare.

In questo modo, chi educa diventa una presenza che accompagna, senza forzare, capace di stare accanto e di legittimare il tempo interiore di ciascuno, trasmettendo un messaggio essenziale: crescere non significa sempre andare avanti, ma talvolta avere il permesso di fermarsi. 

La gratitudine come gesto educativo

In questo fermarsi, può trovare spazio anche un pensiero di gratitudine, non come esercizio retorico o come invito forzato al “pensiero positivo”, ma come atto di vita profondo.
Gratitudine per ciò che c’è stato, per ciò che ha insegnato, anche quando è stato faticoso; gratitudine per le relazioni che hanno sostenuto, per i tentativi non riusciti che hanno comunque lasciato tracce, per le risorse scoperte lungo il cammino.

Educare alla gratitudine significa aiutare a riconoscere il valore dell’esperienza, senza negarne la complessità, e a tenere insieme ciò che è stato bello e ciò che è stato difficile, senza dover scegliere cosa salvare e cosa scartare.

Stare sulla soglia con fiducia nell’inaspettato

Dicembre, caro e magico dicembre, come una porta aperta che ci invita infine a un atto di fiducia.
Fiducia nell’inaspettato, in ciò che non possiamo programmare né controllare, ma che talvolta arriva proprio quando smettiamo di cercarlo. O quando non lo stavamo cercando affatto. Fiducia nel fatto che non tutto deve essere previsto per poter essere accolto, e che alcune possibilità si mostrano solo a chi è disposto a restare aperto.

Educare, in fondo, significa anche questo: coltivare la capacità di accogliere ciò che arriva, scegliere se aprire o meno quella porta, sapendo che non tutto ciò che è incerto è pericoloso, e che alcune delle cose più belle nascono proprio fuori dai nostri piani.

Sostare sulla soglia, allora, non è un tempo perso, ma uno spazio fertile, dove ciò che è stato può trovare senso e ciò che verrà può essere atteso con fiducia, senza fretta, con lo sguardo attento e il cuore disponibile.

Vi auguro con i migliori auguri di sostare ora, per poter fiorire, nella vostra primavera. 

 

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